“Hands off my hijab” è il motto delle donne in Francia che protestano per la libertà di indossare l’hijab.
“Jin, Jiyan, Azadi” è lo slogan delle donne in Iran che protestano per la libertà di non indossare l’hijab.
Le donne nel mondo invocano a gran voce una libertà che si traduce nell’avere il diritto di scegliere.
Non concedere alle donne questo diritto significa esercitare una forma di controllo sui loro corpi e, qui, il problema non è l’hijab, il problema è più profondo e, risiede nella legittimazione di potere data a uomini che esercitano forme di sottomissione e di violenza nei confronti delle donne.
Mariem Chourak ha sedici anni e considera indossare il velo “un’espressione della propria devozione religiosa”, indossare l’hijab fa parte della propria identità, non farlo sarebbe per lei un’umiliazione.
Mahsa Amini aveva ventidue anni, “aveva” perché è stata picchiata a morte dalla polizia morale poiché una ciocca di capelli fuoriusciva dal velo.
Ecco che togliere l’hijab e tagliare i capelli diventa simbolo di protesta verso chi considera quei corpi sofferenti dei corpi invisibili.
Più leggevo queste storie e più pensavo all’Ancella, quel racconto ambientato in un futuro prossimo ma che interpella decisamente il presente. Il racconto dell’Ancella di Margaret Atwood è espressione della brutalità politica, meschinamente puritana che, fonda la sua legge sul corpo femminile.
Dai silenzi al grido, il coraggio della parola parte dalla singola voce e giunge al coro di grida amare verso lo Stato più repressivo che non riesce a schiacciare i desideri.
Il diritto di scegliere è il diritto delle donne all’autonomia del proprio corpo, dall’inglese “bodily autonomy”. Significa poter decidere se indossare il velo oppure no. Significa se, quando e con chi avere rapporti sessuali, quando rimanere incinta e se abortire.
Governare sui corpi significa sottrarre a queste vite il diritto di scegliere.