Introduzione
Questo elaborato intende indagare le tendenze più significative della comunicazione politica degli ultimi anni con il passaggio dai partiti di massa alla centralità dei leader. In particolar modo saranno messi in luce gli strumenti di potere di una politica sempre più adeguata alle logiche del marketing. Tra questi, il potere della narrazione diventa fondamentale. La “battaglia” politica si fa duello di storie in campagna elettorale ed immettere nei propri discorsi il frame dell’avversario può, al contrario di ciò che si vorrebbe, rafforzarlo. Ogni parola ascoltata evoca un frame nella mente dell’individuo ora coinvolto dall’emozione, ora manipolato all’aggressione e alla mobilitazione.
Sarà interessante in questo lavoro di osservazione provare ad analizzare quali sono stati gli strumenti utilizzati in Italia durante l’ultima campagna elettorale del 25 settembre 2022, quali sono stati gli elementi vincenti e forti e quali invece quelli che hanno contribuito a risultati spiacevoli. In particolare, verrà fatta una comparazione tra la comunicazione di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia ed Enrico Letta, segretario del Pd, muovendo dai manifesti grafici ai discorsi in piazza pronunciati in occasione dell’apertura e della chiusura delle rispettive campagne.
1. Leader al centro
Le ultime elezioni politiche in Italia, il 25 settembre 2022, sono state un chiaro segnale della tendenza ormai consolidata da parte dei partiti ad indietreggiare rispetto ai propri leader.
Un’attitudine che traccia il terreno, soprattutto in campagna elettorale, ad uno scontro tra singoli rivali. Si tratta di una politica che si fa sempre più spettacolo all’inseguimento del mero coinvolgimento dell’elettore. Lo scontro irrimediabile tra leader, i quali perdono di vista il proprio ruolo di responsabilità, produce un impoverimento del dibattito pubblico con la consecutiva sfiducia dei cittadini verso il mondo politico. Le accuse tra le parti sostituiscono temi, valori e programmi; così, il Noi-Loro della politica italiana rischia di non lasciare alcuno spazio al manifestarsi di un dibattito pubblico in ambito politico.
Come si è giunti alla centralità del leader, rispetto al partito di appartenenza, nell’attuale panorama politico italiano? Per tentare di dare una risposta a tale domanda occorre ripercorrere gli anni del Novecento. Il secolo dell’avanguardia si apre con l’ormai consolidata affermazione dei grandi partiti di massa. La gente si fida del suo partito e vota per abitudine e per appartenenza ideologica. Gli elettori si recano ai comizi e alle parate di proprio interesse e vige il cosiddetto “voto di appartenenza”, le campagne elettorali si rivolgono ai propri simpatizzanti.
Sono gli anni Cinquanta quando il mezzo televisivo arriva in Italia stravolgendo le consuete forme di comunicazione, dando avvio ad una fase moderna della storia italiana. L’avvento della televisione muta le abitudini e plasma nuovi linguaggi allontanando sempre più la politica dagli elementi che per anni l’avevano caratterizzata. Infatti, con la nascita di spot politici, telegiornali e forme di intrattenimento, il nuovo mezzo di comunicazione di massa offre un’importante opportunità, cioè, quella di rivolgersi potenzialmente ad un pubblico molto vasto e indistinto. Nel contesto di un nuovo spazio mediato da uno verso molti, acquista sempre più rilevanza il leader del partito, gettando le basi di una personalizzazione della politica. Al voto di appartenenza si sostituisce il “voto di opinione” e le nuove campagne elettorali si rivolgono a tutti gli elettori cercando di portare dalla propria parte anche gli indecisi, considerati sempre più come il pubblico di uno spettacolo.
Non è più la pertinenza che conferisce efficacia al linguaggio pubblico, ma la plausibilità, la capacità di guadagnare l’adesione, di sedurre, di ingannare […] il successo di una candidatura non dipende più dalla coerenza di un programma economico e dalla pertinenza delle soluzioni proposte, e nemmeno da una visione lucida dei nodi geostrategici o ecologici, ma dalla capacità di mobilitare in proprio favore grandi correnti di audience e di gradimento.
(Christian Salmon, Storytelling- La fabbrica delle storie, Fazi Editore, 2008 p. 117)
Pertanto, dovendo puntare alla pura seduzione dell’elettore, diventa estremamente rilevante esportare le tecniche di marketing in ambito politico. Tra queste, la scelta sofisticata del packaging da parte delle aziende di marketing, si traduce in politica nell’attenzione posta all’immagine sociale di un leader. Il prodotto da vendere non è il partito con i suoi valori; il prodotto è il leader stesso.
Non ci sorprendiamo oggi se, in Italia, troviamo il nome del leader nel simbolo di partito, come ad esempio “Lega Salvini Premier” o “Giorgia Meloni- Fratelli d’Italia”.
Inoltre, la netta personalizzazione può essere riscontrabile nei discorsi in cui si fa un uso cospicuo della prima persona singolare. Uno stratagemma, questo, utilizzato soprattutto da Giorgia Meloni nella recente campagna elettorale per le elezioni del 25 settembre.
Nel discorso di apertura della campagna elettorale ad Ancona ,il 23 agosto, utilizza espressioni come: “ho voluto…”, “ho deciso di candidarmi…”, “io in coscienza vi dico che penso di poter guidare un governo…”, “a me piace parlare dei problemi di oggi”, “voglio che la gente sia libera”, “voglio che lo Stato sia un alleato” e ancora, “non devi conoscere nessuno nell’Italia che voglio governare io”, “io penso di essere l’unica…”, “sono stata accusata”, “la mia personale battaglia”, “io non ho paura”.
Sempre nelle vicende dell’ultima campagna elettorale, Enrico Letta si è più volte definito diverso dagli altri in questa estrema personalizzazione, tanto da non aver inserito il suo nome all’interno del simbolo del Pd. La contraddizione lampante di questa esternazione può essere più volte contestata dall’uso della prima persona durante il discorso di apertura della campagna elettorale a Bologna: “inizio un lungo viaggio”, “sono fiero…”, “sono orgoglioso”, ho lasciato il lavoro che facevo”. Espressioni queste contraddittorie rispetto all’affermazione all’interno del discorso: ”noi siamo la politica del noi”.
Nei discorsi in Piazza effettuati da Enrico Letta in campagna elettorale è possibile notare, in termini di personalizzazione, una vera e propria evoluzione. Se nel discorso del 25 agosto l’impostazione appare più formale, il leader è solo sul palco e sta fermo dietro al leggio; nelle parole pronunciate in occasione della chiusura della campagna a Roma, il 23 settembre, il leader si muove sul palco circondato dai vari membri del partito. In questa occasione non utilizza mai nel corso del discorso la prima persona singolare, ma sempre e solo il noi: “noi siamo qui tutti insieme”. Stessa cosa non si può dire invece di Giorgia Meloni che nel suo ultimo discorso a Roma, il 22 settembre, decide di mantenersi coerente e di salire da sola sul palco. Il discorso si apre con i ringraziamenti ai membri della coalizione di destra, anche in questo caso il riferimento va ai singoli leader e non ai partiti.
2. Il marketing politico
In Italia, il primo a servirsi delle tecniche di marketing commerciale e di pubblicità fu Silvio Berlusconi sul finire del Novecento. Quest’ultimo non fu un genio della comunicazione ma, fu il primo a comprendere che anche in politica occorresse studiare il mercato, cercando di capire cosa provasse e pensasse l’elettorato prima di costruire la campagna elettorale, cioè prima del lancio del prodotto. Il centrosinistra iniziò a parlare di berlusconismo, accusando il leader di aver causato un “imbarbarimento” della comunicazione politica. Questo atteggiamento di repulsione delle tecniche del marketing da parte della sinistra durò fino al 2007, anno in cui il leader del Pd, Walter Veltroni, decise di combattere Berlusconi con le sue stesse armi.
Il problema centrale della comunicazione di Veltroni, tuttavia, è che traeva dalle tecniche commerciali solo gli aspetti più esteriori e volatili […]. Per di più, nella campagna per le politiche del 2008 Veltroni imitò la comunicazione di Obama, senza riuscire a adattarla al contesto italiano.
(Giovanna Cosenza, Semiotica e comunicazione politica, Editori Laterza, 2018, p. 121)
Nell’aprile del 2008 la sconfitta elettorale punì Veltroni e, il Pd, dal punto di vista comunicativo non fu mai capace di imparare dagli errori. Non si tratta di un problema solo del partito di sinistra, più in generale, in Italia c’è una scarsa cultura della comunicazione. Tale tendenza, spinge la politica e le aziende a concentrarsi più su grafici e colori che sui contenuti. Rivalutare la comunicazione odierna significherebbe infatti generare nuove strategie di comunicazione che portino al centro dei discorsi i contenuti.
Visual storytelling campagna elettorale di Enrico Letta per le elezioni del 25 settembre 2022.
https://roma.repubblica.it/cronaca/2022/08/26/news/elezioni_campagna_elettorale_letta_pd_post_pasta-362991419/ https://elezioni2022.partitodemocratico.it/scegli-la-nuova-campagna-del-partito-democratico/
Proprio quest’anno, durante l’ultima campagna elettorale, il leader del Pd, talmente si è immedesimato sulla grafica e sul gioco di colori nero-rosso che, a furia di semplificare ha trasformato in banalità il confronto mettendo da un lato la pancetta e dall’altro il guanciale. La mossa di Letta ha ricordato in qualche modo quella di Bersani nel 2013, quando il leader prese così sul serio la parodia che faceva Maurizio Crozza delle sue celebri metafore rurali da adottare come slogan “smacchiamento del giaguaro” (ovvero Berlusconi).
In un articolo de Il Fatto Quotidiano la professoressa dell’Università di Bologna Giovanna Cosenza definisce la comunicazione di Enrico Letta poco originale, il classico discorso politico negativo sulla crisi e sul passato contribuendo a definire il leader del Pd “emotivamente disforico” e capace di un linguaggio astratto che non riesce ad evolversi. Al contrario, la studiosa definisce la comunicazione di Giorgia Meloni più concreta e positiva nella costruzione dell’orgoglio di essere italiani. La sua comunicazione ha convinto sia per la coerenza che per la sicurezza. Sicurezza che si può notare a partire dallo slogan “Pronti”.
Mentre Letta si rivolge potenzialmente a tutti gli elettori che trovandosi in una fase che potremmo definire di competenza insiste sulla volontà e sul dovere di scegliere; Meloni con lo slogan “pronti” fidandosi del suo elettorato sembra essere già passata ad una fase di azione, quella che definisce più volte “battaglia”.
Provando ad analizzare i due diversi slogan: Scegli e Pronti possiamo subito notare che se da una parte abbiamo un chiaro invito all’azione rivolto al destinatario; dall’altra invece c’è la dichiarazione di essere pronti a fare qualcosa per il destinatario.
Possiamo notare come il manifesto di Giorgia Meloni rappresenti un esempio di locus of control interno, nel senso che il comunicatore si assume l’onere che la sua azione generi effetti nella realtà. Nel manifesto di Enrico Letta, al contrario, il locus of control è esterno: “Scegli”. È il destinatario che, attraverso la sua azione, fa dispiegare degli effetti nella realtà.
(Patrick Facciolo, Sono più efficaci i manifesti di Letta o Meloni? La teoria del “locus of control”, 21 settembre 2022, Parlare al microfono.it)
Dunque, da una parte un invito che offre una soluzione e dall’altra una richiesta che chiede di compiere un’azione. Ovviamente, lo scenario in cui il politico offre una soluzione si delinea come quello più efficace dal punto di vista del marketing politico.
Quest’opera di “rebranding” per risollevare l’Italia si riscontra anche nel manifesto: primo piano, sorriso, colori accesi, positività.
Manifesto della campagna elettorale di Giorgia Meloni per le elezioni del 25 settembre 2022.
Questa non è l’unica strategia messa in atto da Giorgia Meloni ma, i suoi discorsi sono un susseguirsi di domande a cui lei stessa risponde, sono caratterizzati da un continuo uso consapevole del tono di voce, ora moderato ed empatico, ora urlato e passionale, a seconda che ci si rivolga all’elettorato interno o ai partner internazionali. Anche la ripetizione delle medesime parole fa si che certi temi si ancorino nelle menti delle persone, specie se l’isotopia ridondante attiene al campo semantico degli affetti familiari.
Sempre nell’artico de Il Fatto Quotidiano, Giovanna Cosenza definisce i toni e i modi di Giorgia Meloni tipici di una comunicazione virilmente aggressiva. A tutto ciò la leader di Fratelli d’ Italia aggiunge spesso ironia.
Mettere in scena la democrazia invece di esercitarla diventa il nuovo obiettivo primario. La ribalta dei racconti e dei personaggi diventa lo strumento più utile per agire sugli stati d’animo, trascurando la diffusione delle informazioni sui programmi.
3. Storie
Una foto scattata nel maggio 2004 ritrae George Bush e Ashley Faulkner. Durante la campagna elettorale in America, il padre della ragazza scatta una foto nel momento in cui Bush abbraccia Ashley, un’adolescente che aveva perso la madre durante l’attacco alle Torri gemelle l’11 settembre del 2001. Questa foto circola su Internet, diventa virale. Un’immagine, questa, che si fa racconto di George Bush descrivendone empatia. Ciò illustra la forte componente passionale della sua comunicazione, la messa in comune alla gente dei propri sentimenti volendo creare un soggetto collettivo unito di fronte alle difficoltà.
Nuove tecnologie di potere minacciano i luoghi del dibattito democratico. Chi gestisce le macchine narrative detiene in mano il potere della manipolazione delle menti. Storie semplici possono influenzare le opinioni, strumentalizzare le emozioni, privando l’individuo dei propri mezzi intellettuali.
Con l’arrivo di Internet, il caos dei saperi frammentati ha trasformato la comunicazione politica con l’avvento di una nuova era: l’età performativa delle democrazie1. Così avviene l’ingresso degli spin doctor dei partiti, forti del loro potere di narrazione.
<<Le innumerevoli stories create dalla macchina della propaganda sono protocolli di ammaestramento, di addomesticazione, che mirano a prendere il controllo delle pratiche e ad appropriarsi dei saperi e dei desideri degli individui>>.
(Christian Salmon, Storytelling- La fabbrica delle storie, Fazi Editore, 2008, p.169)
Nel discorso di apertura della campagna di Giorgia Meloni ad Ancona è possibile individuare l’isotopia della battaglia: “la mia personale battaglia”, “sono disposta a condurre questa battaglia”, “voglio difendere questo”, “questa è la mia personale battaglia”, “liberare questa nazione”. Nel racconto presentato da Giorgia Meloni si potrebbe riscontrare un programma narrativo chiaro: Lei (soggetto), modalizzata secondo il volere, è pronta, cioè intende condurre una battaglia per raggiungere un obiettivo (oggetto di valore): liberare gli italiani dal potere corrotto della sinistra che si fa anti-soggetto. Sempre restando nel campo semantico del conflitto vediamo da un lato avversari forti e pronti; dall’altro nemici insicuri ed in preda alla paura: “quella sinistra terrorizzata da perdere quel potere”, “c’è gente che ha paura”, “io non ho paura”. Quello della paura è un tema che torna nuovamente nell’ultimo discorso a Roma, tutta la comunicazione è infatti un continuo susseguirsi della frase “Gli altri ci temono e fanno bene perché”.
La concretezza della leader di Fratelli d’Italia la si può trovare nei molteplici esempi della propria storia personale, uno strumento molto forte, anche qui, per suscitare empatia e coinvolgere a livello emotivo: “è stato detto che io odio i poveri, curioso dato che non vengo da una famiglia particolarmente agiata”, “ma figuratevi se io che sono stata anche obesa e bullizzata posso considerare che l’obeso è un deviato”.
Le campagne elettorali operano sulle predisposizioni dei votanti attivando o disattivando i processi di emozione e cognizione, con lo scopo di realizzare gli obiettivi della campagna. A prescindere dall’ideologia e dalla retorica presenti nei discorsi politici, una cosa sola importa ai partiti politici e ai candidati in campagna elettorale- vincere. Tutto il resto è secondario. (Manuel Castells, Comunicazione e Potere, Università Bocconi Editori, 2009 p.287)
Negli ultimi decenni si è parlato di management dell’informazione, cioè del fatto che gli attori politici si dotano di forme di comunicazione più complesse coinvolgendo nuove figure professionali.
A partire dagli anni Novanta, infatti, si è formato un corpus di studi sulla comunicazione politica e “un numero crescente di studi mette in evidenza il ruolo degli appelli all’emotività” (Jamieson, 1992; West, 2001; Richardson, 2003)2 .
La relazione di potere viene a basarsi sulla capacità o meno di plasmare la mente umana nel modo migliore pensando sempre più ai cittadini come potenziali clienti.
4. Toni forti e aggressivi
Oggi si è soliti parlare di politica dell’inciviltà, termine utilizzato dalle studiose Sara Bentivegna e Rossella Rega per evidenziale l’attuale imbarbarimento della politica fatta di insulti e grida.
Dal punto di vista dei soggetti che utilizzano modi di interazione “incivili” si può sostenere che questi diventano una precisa strategia di comunicazione in grado di produrre consenso. Esempio immediato dell’utilizzo di questo linguaggio è Donald Trump. Nel suo discorso, negli Usa, il 6 gennaio 2021 usa un linguaggio molto forte e aggressivo che incita i suoi sostenitori al “combattimento”. Metafora, quest’ultima, che ritroviamo con un parallelismo nella comunicazione di Giorgia Meloni dove più volte si sollecita, come abbiamo visto, il campo semantico della battaglia.
La costruzione di un brand incivile appare chiaramente come una risorsa utilizzata per comunicare una collocazione estranea al mondo della vecchia politica, di cui il popolo è stanco e insoddisfatto. Il ricorso all’inciviltà non solo consente di marcare una distanza dalla politica tradizionale; permette nello stesso tempo, di definire alcuni tratti dell’identità dell’attore politico e, di riflesso, quelli dei soggetti che si vuole rappresentare in termini elettorali.
(S. Bentivegna e R. Rega, La politica dell’inciviltà, Laterza, 2022).
In occasione del discorso di Trump nel 2021, citato pocanzi, si trattò di una comunicazione capace di aggregare più persone in nome di una comune matrice identitaria spingendo al culmine della mobilitazione con l’assalto a Capitol Hill da parte dei seguaci di Trump contrari all’incoronazione di Joe Biden. La questione che pone la politica dell’inciviltà è infatti proprio questa: cioè il fatto che un linguaggio aggressivo utilizzato dal candidato politico possa portare a manifestazioni violente da parte dei cittadini che si rendono compartecipi di tale imbarbarimento.
Certi atti di inciviltà sono molto visibili e riconoscibili, creano vere e proprie icone. Non è difficile ricordare i toni forti, anzi le grida di Giorgia Meloni sul palco pronunciando “Sono una madre, sono una donna, sono cristiana”, parole ripetute, impresse nella mente e spontaneamente associabili all’immagine della leader di Fratelli d’Italia.
Nel libro il marketing della paura, scritto da Fabio di Nicola, si fa riferimento al rapporto sugli studi sulle dinamiche delle emozioni e sulla creazione di una certa comunicazione che possa spingere le persone in modo consapevole a reagire in un certo modo. In questo libro, si fa cita un esperimento condotto nel 1971 da un gruppo di ricercatori dell’Università di Stanford diretto dal professor Philip Zimbardo.
<<Zimbardo riprese alcune idee dello studioso francese del comportamento sociale Gustave Le Bon; in particolare la teoria della deindividualizzazione, la quale sostiene che gli individui di un gruppo coeso tendono a perdere l’identità personale, la consapevolezza, il senso di responsabilità, alimentando la comparsa di impulsi antisociali>>.3
Per l’esperimento scelsero 24 uomini di ceto medio, tra i più equilibrati ed estranei a comportamenti devianti e furono divisi in due gruppi: detenuti e guardie, simulando l’ambiente di un carcere. Già al quinto giorno i detenuti mostrarono sintomi di disgregazione individuale e collettiva, mentre le guardie si comportavano con loro in modo sadico. La prigione finta si era trasformata in realtà. Dunque, secondo l’esperimento assumere una funzione di controllo sugli altri può arrivare ad indurre ad assumere le regole di quell’istituzione come unico valore di riferimento. La deindividuazione induce ad una perdita di responsabilità individuale, il soggetto “io” diventa soggetto “gruppo”.
Questo effetto, denominato “effetto lucifero” nutre una forte correlazione con il mondo politico poiché l’aggressività è influenzata dal contesto in cui l’individuo si trova e all’istituzione cui aderisce. I meccanismi connessi alla paura, come è stato dimostrato da studi di neuro marketing specifici citati nel libro di Di Nicola, sono meccanismi di facile manipolazione e di conseguenza di spinta alla mobilitazione.
5. Costruzioni binarie
Diviene sempre più esplicita, in Italia, la frattura insanabile tra destra e sinistra. In tale contesto la politica diventa il terreno per una battaglia tra leader che detengono il potere del linguaggio. Chi sa usarlo ne esce vincitore.
Si potrebbe pensare che il mondo esista indipendentemente da come noi lo vediamo. Ma non è così. La nostra visione del mondo è essa stessa parte del mondo. I frame concettuali esistono a livello inconscio nei circuiti neuronali del nostro cervello, e definiscono e delimitano la nostra visione del mondo, influenzando le nostre azioni.
(George Lakoff, Non pensare all’elefante, chiarelettere, 2014)
Nel 2014 Il linguista George Lakoff interrogandosi sul bipolarismo americano tra Repubblicani e Democratici elabora la teoria del framing. Secondo Lakoff ogni parola rimanda ad un’immagine nella nostra mente attivando cioè una cornice, un frame. Ogni individuo possiede inconsciamente degli schemi mentali che sono il frutto della propria esperienza nel mondo. Tuttavia, se una parola non riesce ad attivare un frame mentale in una persona, quest’ultima non ne capisce il senso e la ignora.
La nostra comprensione della realtà non è mai oggettiva e uguale a quella di qualcun altro e inevitabilmente ogni forma di comprensione è legata ad un modo di rappresentarsi la realtà, al modo di costruire una mappa della realtà.
Quello che comunichiamo diventa comprensibile attivando effetti proprio perché adottiamo delle attività di incorniciamento attraverso metafore, immagini, simboli.
Se veniamo a conoscenza di fatti ai quali non corrispondono strutture concettuali presenti nel nostro cervello, questi ci sfuggono perché non riusciamo ad interpretarli. Non li ascoltiamo, non li accettiamo, ci confondono e per questo li etichettiamo come irrazionali o insensati.
Il linguaggio utilizzato orienta la percezione del fenomeno e una buona comunicazione è capace di integrare aspetti passionali e non in modo ragionevole, in un framing onesto e ragionato. <<È dall’emergere di una nuova lingua che si individua un cambiamento sociale. Quando ci si riprende il diritto di nominare le cose diversamente, di abbattere i muri retorici, di arricchire la lingua comune>> 4
<<Quando discutiamo con qualcuno dello schieramento opposto al nostro utilizzandone il linguaggio, attiviamo i frame di quello schieramento, rafforzandoli in chi ci ascolta a scapito dei nostri>>.5
Lakoff ci dice che utilizzare il linguaggio dell’avversario così come portare alla ribalta i tratti distintivi del leader contrapposto, non solo fa perdere di vista la comunicazione circa i propri valori ed il proprio programma politico ma, sposta l’attenzione verso l’avversario che viene ad essere rafforzato. Utilizzare il racconto dell’avversario significa concedergli il privilegio di designare l’agenda politica privando ai propri elettori la possibilità di riconoscersi nella costruzione di un proprio frame. Il cosiddetto “errore dell’elefante” si riscontra facilmente nella comunicazione politica italiana e nella maggior parte dei casi è la sinistra ad abusarne.
Nella recente campagna elettorale, l’intera comunicazione del Pd si è basata sul richiamo all’avversario a partire dallo slogan “scegli” accompagnato da un visual storytelling chiaro: il nero (loro) ed il rosso (noi) due colori che diventano simbolo di una scelta fondamentale tracciata dall’elemento disgiuntivo “o”. O il nero o il rosso, o il passato negativo della destra o la speranza di futuro della sinistra.
Nel discorso di apertura di Letta, il tema centrale è il passato negativo della destra: “quel governo aveva portato il Paese in bancarotta”, “l’Italia si trovò ai margini della bancarotta” “la disoccupazione giovanile”. Qui Letta non parla di una vittoria per la libertà dei cittadini ma di una scelta per la “speranza”, rimanendo anche in questo caso troppo astratto.
Conclusioni
Dal voto di appartenenza ai partiti di massa si è passati alla ricerca di consenso e al convincimento dei cittadini. Il leader è diventato l’incarnazione di valori rendendo possibile un’identificazione con l’elettorato. La comunicazione si fa breve, si punta ai colori e alle frasi ad effetto con il forte rischio di lasciare da parte i contenuti. La deriva del marketing, della spettacolarizzazione, della personalizzazione e dell’intera costruzione binaria finisce per maturare una disaffezione da parte degli elettori rassegnati da una battaglia più incentrata al raggiungimento della vittoria che alla risoluzione dei problemi vivi all’interno della società. La “messa in scena” di una democrazia vuota di contenuti richiama anche l’esigenza di una “rigenerazione”6 per frenare la crisi in atto.
Mettere la cura al centro della politica, significa, come ha sottolineato Maria Luisa Boccia: <<contrastare l’incuria che la pervade. Mai come ora la politica è incuria, violenza, affare, corruzione>>.
(Marco Deriu, rigenerazione- per una democrazia capace di futuro, Castelvecchi, 2022, p. 215)