Ultimamente ogni sera ,prima di andare a dormire, mi perdo tra le Stories registrate in archivio su Instagram. Mi piace rivivere ogni ricordo ed ogni emozione. Stasera mi sono soffermata sui ricordi di scuola. Gli anni al liceo. Come dimenticarli.
Così ho iniziato un monologo con me stessa e mi son chiesta cosa mi mancasse più di quegli anni. La prima cosa a cui ho pensato sono stati i legami costruiti con le persone. Attimi unici ed irripetibili si sono improvvisamente presentati dinanzi a me, e così ho sorriso.
Forse parlo troppo con me stessa in questi giorni , pertanto ho deciso di parlare alle persone che per cinque anni hanno colorato le mie giornate diventando una seconda famiglia, una seconda casa.
Quando a quattordici anni fai il tuo ingresso alle superiori, sei immaturo e terrorizzato alla sola idea di varcare la soglia di quella porta. Quando a diciannove anni esci fuori da quelle mura che hanno accolto momenti belli e brutti che siano, ti senti grande, ti senti libero e felice di aver portato a termine un percorso di maturità. Poi passano i giorni, passano i mesi, passano gli anni e la scuola ti manca, senti un nodo in gola e un vuoto incolmabile lasciato da quelle persone che avranno per sempre un posto riservato in prima fila dentro di te.
Cari compagni, non voglio definirvi “ex” compagni, sarebbe troppo triste e non ho ancora accettato l’idea che voi non lo siate più o che la nostra classe si sia improvvisamente dissolta nel nulla. Ricordo le chiacchierate prima di entrare in classe, gli sguardi rivolti in basso prima di un’interrogazione a sorpresa, l’ansia prima dei compiti in classe, le occhiate rassicuranti, le ore trascorse in palestra, le risate, le litigate, le assemblee di classe, le feste, i compagni di banco, gli aiuti, i discorsi sul futuro, le serate insieme, gli ultimi giorni di giugno prima dell’estate, la gita del quinto, i progetti insieme, l’ultimo primo giorno di scuola, la notte prima degli esami, gli esami, l’adrenalina, la solidarietà, la disperazione, la noia e la felicità.
Cari professori, avete seguito ogni nostro passo che dall’essere adolescenti ci ha trasformati in uomini e donne responsabili e speranzosi. Siete stati fondamentali. I vostri insegnamenti sono stati preziosi, i vostri sorrisi confortanti e le vostre critiche costruttive.
Ricordo tutto con immensa nostalgia, ma sono contenta di poter ricordare questi momenti unici. Io e i miei compagni abbiamo avuto la fortuna ed il privilegio di aver vissuto a pieno la scuola e il fatto che molti ragazzi non potranno sorridere ricordando pezzi di vita così meravigliosi, mi rende triste. Quando tutto passerà, per favore, svegliatevi allegri ogni mattina, andate a scuola col sorriso e ricordate ogni giorno che poi, con il tempo, la scuola vi mancherà.
La scuola ci fa crescere, ci insegna a stare al mondo e ci fa incontrare persone che porteremo per sempre nel nostro cuore.
Cari studenti, spero di vedervi al più presto, carichi di vitalità, tra i banchi di scuola.
Cari professori e compagni, non so se leggerete quanto scritto, ma nell’eventualità: vi auguro il meglio dalla vita e vi ringrazio per aver scelto le tonalità più belle per colorare tutti quei giorni trascorsi insieme.
<<Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare!>> pronuncerebbe un vecchio modo di dire ascoltato chissà quante volte; eppure, non sono d’accordo. Credo, in modo fermo e deciso, che tra linguaggio e azione passa molto poco, in realtà. Alcuni di voi si chiederanno cosa io intenda comunicare con tale affermazione. Pertanto, non trovo un modo migliore per chiarire la mia posizione, se non basandomi sul caso del momento: Trump.
Il potere delle parole si presenta quotidianamente, anche in politica, e quando il linguaggio politico non lascia spazio al confronto, ma anzi incita allo scontro, allora diventa una minaccia per la democrazia.
Analizzando il linguaggio dell’ormai ex Presidente Americano, Donald Trump, non possiamo distrarci dinanzi all’arroganza insita in ogni sua affermazione. Si tratta di un linguaggio che fa uso del corpo oltre che della parola e mediante al quale il leader dimostra audacia, violenza e virilità.
Trump, che conosce bene le tecniche del marketing e della comunicazione persuasiva, utilizza un linguaggio comprensibile a tutti. Qui si cela l’interessante: il tema politico è solo lo sfondo, l’obiettivo di coinvolgimento delle masse non viene raggiunto grazie ai contenuti politici espressi ma, soprattutto, grazie al modo in cui questi vengono presentati. È una comunicazione, la sua, che intende impressionare, emozionare, accendere gli animi, rievocare la rabbia repressa.
Numerosi studi, spesso legati ai casi di violenza domestica, dimostrano come la violenza fisica sia strettamente legata a quella verbale; quel “molto poco” di cui parlavo all’inizio, infatti, altro non è che la sottile linea di degenerazione del linguaggio in azione.
Trump è un caso, ma non l’unico. La storia è piena di leader che fomentano le masse spingendole alla violenza. E non è tutto, passa “molto poco” anche dall’America all’Italia.
Donald Trump e Matteo Salvini sono accomunati dalla volontà reciproca di creare una verità parallela in cui il linguaggio diventa il mezzo più efficace per esprimere: violenza, volgarità e semplicità. La storia dell’umanità è una storia di paura: la paura del diverso. Ed i nuovi guru del nazionalismo e del suprematismo fanno proprio questo: fomentano l’odio e la paura per il “diverso”. Salvini crea una barriera netta tra i suoi ideali e chi invece si oppone a quelli. Uno schema binario illogico, insomma, che unito allo slogan patriottico “prima gli italiani” genera violenza, fa paura.
Trump ha alimentato una rabbia repressa che è esplosa. L’America di sta svegliando. E l’Italia? Quando si sveglierà?
Click! Ed ecco aggiunto un nuovo amico su Facebook.
Internet ci ha resi forse più superficiali e pigri perché ci ha dotati della piena coscienza che, in ogni momento, basta un semplice colpo sul tasto per trovare ciò di cui abbiamo bisogno, perfino un amico!
E così, appare evidente che le relazioni sociali mutano divenendo fragili e dunque facilmente distruttibili, magari per un mi piace mancato o per un post non condiviso!
La verità, a mio avviso, sta nella superficialità con cui ci si relaziona e nell’incapacità di ascoltare l’altra persona. Quante volte, avete posto la fatidica domanda “come va?” senza ascoltare realmente la risposta, solo per portare avanti una conversazione che altrimenti si sarebbe conclusa fin dal saluto?
E quante altre volte vi siete confidati con una persona che invece di aiutarvi a risolvere il vostro problema ha spostato l’attenzione sul proprio ego raccontando un’analoga esperienza per poter finalmente parlare di sé stessa?
Credo abbiate fatto esperienza diretta di questi accadimenti, o meglio, di queste comunicazioni caratterizzate da una forte incapacità di ascolto. Forse troppe volte.
Così sorgono sempre più monologhi e pochi dialoghi, cala la voglia di recepirsi.
I pochi dialoghi messi in campo si immiseriscono e i confronti di idee si azzerano.
Sfrecciamo tweet, scorriamo storie ma quanto ci soffermiamo su ciò che abbiamo appena visto o letto? Siamo così veloci e superficiali che non spendiamo un centesimo del nostro tempo neppure per leggere un pensiero su cui un nostro ‘amico’ ha tanto riflettuto. Perché corriamo? Abbiamo bisogno di arrivare primi? E che senso ha arrivare in cima vuoti e vinti dalla passività?
Leghiamo i nostri rapporti ai numeri e non alla qualità. 500 amici virtuali e 5 amici reali. Allora mi chiedo, se un amico è un numero e con un semplice click posso rimuoverlo, il problema a livello sociale è sottinteso, no?
Il primo articolo sul BLOG non si scorda mai!
Ho riflettuto a lungo sul tema da trattare per inaugurare il sito. Così, questa notte, poggiando la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi mi son chiesta: << Tu Sofia, cosa vorresti leggere? >>. Ho realizzato a quel punto che non potevo iniziare a scrivere del 2021 senza aver ragionato prima sull’anno che ci ha appena lasciati.
Ed eccoci, allo scoccare del pomeriggio del tre Gennaio 2021 a ricordare alcuni momenti dell’ormai trascorso 2020.
La natura è stata protagonista.
Siamo rimasti increduli dinanzi alla stagione degli incendi boschivi in Australia, dei cieli arancioni, dell’alluvione in Indonesia, dei temporali in Brasile e del terremoto in Turchia.
L’America ha cambiato volto.
Abbiamo vissuto il rischio di una Terza Guerra Mondiale tra Stati Uniti ed Iran. Siamo passati dall’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani, all’assoluzione del Presidente Donald Trump per la condanna di “abuso di potere”, alla caduta dello stesso Trump con il trionfo di Biden.
Crudeltà, ingiustizia e indifferenza sono piombate di colpo nel nostro anno.
Con occhi attoniti abbiamo osservato gli sguardi indifferenti degli assassini di Willy e con qualche lacrima sul volto abbiamo detto addio all’animo puro ed innocente di questo ragazzo di 21 anni.
Ci ha spiazzati la notizia dell’incidente in cui, Kobe Bryant, la leggenda del Basket, ha perso la vita insieme alla piccola Gianna.
Abbiamo assistito all’emozione dei familiari di Silvia Romano nel giorno della sua liberazione; alla disperazione, per mesi e mesi, dei familiari dei 18 pescatori di Mazara del Vallo e ai ritrovati abbracci avvenuti dopo il loro rilascio qualche giorno prima del Natale; alla notizia del prossimo ritorno in Italia di Chico Forti; all’attuale ingiustizia non risolta di Patrick Zaky, studente a Bologna, incarcerato in Egitto per le sue idee.
Negli ultimi dodici mesi, noti personaggi del mondo della cultura, dello spettacolo, dello sport e dell’imprenditoria ci hanno lasciati; da Emanuele Severino a Paolo Guerra, da Ezio Bosso a Ennio Morricone, da Nedo Fiano a John Lewis, da Arrigo Levi a Sean Connery, da Jole Santelli a Lucille Bridge, da Gigi Proietti a Stefano D’Orazio, da Diego Armando Maradona a Paolo Rossi, da Kelly Preston a Stella Tennant e molti altri ancora.
Anno di troppi incidenti mortali.
Anno di cronaca feroce.
Dal parricidio di San Biagio, al matricidio di via Bertuccioni, all’omicidio-suicidio di via Piacenza dove un uomo ha ucciso la fidanzata prima di lanciarsi nel vuoto.
La pandemia da coronavirus ci ha resi ansiosi, incerti, spaesati.
Abbiamo vissuto l’incredulità dinanzi alla comunicazione del governo cinese dello scoppio di un’epidemia di Covid-19, capace di provocare gravi polmoniti, nella provincia cinese di Wuhan; da lì il timore per i primi casi allo Spallanzani e a seguito l’agghiacciante immagine dei camion militari che trasportavano le bare a Bergamo;
Siamo stati catapultati in una nuova realtà caratterizzata dall’eco ridondante di parole nuove a noi come: mascherina, lockdown, distanziamento sociale, quarantena, auto quarantena, infodemia, contact tracing, emergenza sanitaria, pandemia, coprifuoco, contagio, tamponi…
Abbiamo sofferto, ci siamo sentiti fragili, soli e impotenti.
Nella drammaticità del periodo la solidarietà si è risvegliata. Flash mob dai balconi per farsi coraggio, manifesti di speranza e applausi al personale sanitario.
Medici ed infermieri stanchi e provati che per dovere e passione hanno sofferto nei reparti e nelle intere strutture per l’assistenza di persone colpite. Sono più di 200 i medici caduti nel corso dell’epidemia di Covid-19.
Infine, l’emozione di claudia, la prima vaccinata in Italia, e la dedica di Omar, operatore sociosanitario, che con un grosso nodo in gola ha dedicato il vaccino a chi purtroppo non c’è più.
Con questo ‘collage scritto’ del 2020 posso chiudere un capitolo ed iniziarne a scrivere uno nuovo. Carica di speranza mi accingo così a raccontare, nei prossimi giorni, il tanto desiderato 2021.